Sarà appena il caso di rammentare l’importanza della colonna sonora nel tessuto narrativo di un film (basti pensare a un film come “Psycho” senza la sua particolarissima musica). Di ciò era ben conscio anche Mario Pecorari, che fu un attento collezionista di musiche da film, nonché grande ammiratore dei compositori di colonne sonore cinematografiche. Con questo spirito e con grande umiltà e deferenza si avvicinò e divenne amico di alcuni di loro, a iniziare dal più grande: Ennio Morricone.
Il suo rapporto pluriennale con il Maestro non fu solamente caratterizzato da una serie occasionale di incontri, ma si fece sempre più profondo nel tempo, anche grazie a una corrispondenza epistolare tutt’altro che superficiale, nella quale Morricone ha toccato argomenti profondamente legati all’essenza stessa della sua arte e alle condizioni in cui essa si svolgeva. Non di rado le lunghe lettere che Morricone spediva a Mario gli servivano a sfogare alcuni crucci e nodi irrisolti della sua professione.
In questa lettera del maggio 1973, ad esempio, Morricone ci rivela un particolare fondamentale del suo modo di comporre musica: la necessità che il processo creativo sia solo e unicamente suo. Nella parte conclusiva della missiva, il Maestro scrive che “la mia musica è composta ‘interamente da me’, senza nessun equivoco commerciale o di altro genere (orchestrazioni, arrangiamenti) perché io scrivo tutto da solo, non ho aiutanti come altri compositori”.
Dietro questa importante dichiarazione c’è evidentemente un pizzico di orgoglio da parte sua nel rivendicare il totale possesso del prodotto artistico finito, ma anche una velata polemica nei confronti di quei “colleghi” compositori che delegano una parte del lavoro ad aiutanti, tanto da giungere a un risultato conclusivo del quale non è più possibile stabilire con certezza la paternità.
In questa seconda lettera, datata ottobre 1972, Morricone se la prende invece con i critici musicali e con la loro presunta incompetenza. Il Maestro pone a Mario una domanda retorica: “esiste una scuola per i critici di musica o di musica da film?”. La sua risposta è evidentemente un “no” categorico e ciò produrrebbe, dunque, una categoria di persone – i critici, appunto – che non hanno gli strumenti “tecnici” per fare il loro lavoro, poiché ignorano quello che è il travaglio creativo di un un artista e i condizionamenti che subisce un compositore di musiche da film, in termini di tempi di lavorazione e di richieste specifiche di produttori e registi. Si tratta quindi di un Morricone che parla a ruota libera con il suo amico Mario, sapendo di trovare in lui un attento ascoltatore che ne comprende le ragioni.